1 settembre 2017

Dunkirk: la guerra, quella vera [Recensione]

Perché tutto il mondo sta osannando l’ultima fatica di Christopher Nolan? Cosa spinge critici e pubblico ad elevarlo a capolavoro? Com’è possibile che si contino sulle dita di un dito i detrattori della pellicola?
A cinema, ieri sera, ho trovato la risposta: perché è un filmone!
Senza se e senza ma. 
Ora, chiariamo subito che io non sono il tipo che ama Nolan a qualunque costo, quindi, non ero partito in quarta gridando già al capolavoro e strappandomi i quattro peli che ho in testa e che chiamo capelli. Anzi, dal trailer avevo cominciato già a sentire odore di palla assurda lasciata in umido nelle acque della manica.
E invece…
Beh, Nolan è riuscito in un compito non proprio facilissimissimo: suggerire, come fece Spielberg con Salvate il soldato Ryan, ai cineasti un modo alternativo di fare film di “guerra”. Non sto parlando di trama o intreccio, neanche di inquadrature, parlo del modo di narrare (visivamente e drammaticamente) eventi bellici.
Il film vive di due “nonostante”… Mi spiego meglio.
1. Nonostante sia un film in cui il mare è onnipresente, è un film assolutamente asciutto (ha ha ha… ehm..). Non ci sono fronzoli eroico-sentimentali, non ci sono patriottismi facili e rallenty con bandiere in mano o gente che esplode. C’è solo la guerra: bombe, esplosioni, sparatorie, gente che esplode, soldati che si accasciano a terra spaventati, navi che colano a picco, aerei che precipitano. La Guerra con la “G” maiuscola e la “UERRA” in maiuscolo.
2. Nonostante ci siano distese di sabbia, mare aperto e campi lunghissimi fino all’orizzonte, è un film terribilmente claustrofobico. Tu, piccolo spettatore seduto sulla tua poltroncina, si senti soffocare, accerchiare, opprimere. La storia corale imbastita da Nolan trova sempre il modo di “rinchiudere” i protagonisti dentro qualcosa: una nave, una barca, la cabina di un aereo, persino lo stanzino delle derrate alimentari di una piccola imbarcazione, diventano teatro e metafora degli eventi raccontati.
La guerra soffoca, il pericolo è ovunque, viene dal cielo come dal mare, e tu, soldato, non puoi sfuggire in nessun modo. Spesso, nel film, le situazioni limite si caricano di angoscia, non di quello che vivi, ma di quello che potrebbe succedere.
Nolan sceglie, dunque, uno stile “documentaristico” (mi si passi il termine) senza ricercare le normali esagerazioni filmiche o licenze drammatiche. Il dramma deve essere quello che viene mostrato. Complice, infatti, è la fotografia: non è virata, alterata, caricata per evidenziare il dolore, è “nuda e cruda”.
In tal senso la meravigliosa colonna sonora di Hans Zimmer (Hans ti amo!!!) acquista una doppia valenza narrativa: da un lato il suo essere martellante, opprimente e lisergica, contribuisce a creare quel senso di oppressione e angoscia che tutto il film ricerca, ma ha anche la capacità di “sparire” all’orecchio dello spettatore senza invadere con trombette e percussioni eroiche o temi ricorrenti e riconoscibili. La colonna sonora è un vero e proprio accompagnamento alle immagini: anche quello che sembra essere il ticchettio di un orologio, alimenta il senso del tempo ormai agli sgoccioli, che si sta riducendo, del tempo che, per i soldati inglesi a Dunkirk, si sta drammaticamente esaurendo.
La folta schiera di attori, più o meno noti, diventano burattini nelle mani di Nolan che allestisce per loro un teatro di disarmante quotidianità della guerra. I dialoghi sono ridotti all’osso perché, di certo, se ti arriva una bomba addosso tu non è che ti metti a parlare o lanciare frasi fatte per sembrare un eroe.

Ordunque, una prova riuscitissima quella di Nolan, così come di tutto il cast e di chiunque abbia lavorato dietro a Dunkirk. Un film che ingabbia personaggi e spettatori quasi come se fosse un thriller, che colpisce come un colpo di mortaio e che ti angoscia come il rombo di un aereo nemico. 

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